In questa prima Domenica di Quaresima abbiamo ascoltato una prima lettura molto interessante. Capitolo 26 del libro del Deuteronomio. Perché è interessante? Cerco di raccontarvelo, come posso, come riesco…perché stiamo capendo come il racconto sia una via maestra per leggere e comprendere le Scritture. Le parabole, come diceva Gesù.
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C’era una volta un forestiero, giunto in terra straniera, essenzialmente…per esigenza. Esigenza di ricerca. Ricerca di casa, di nome, di identità.
La terra straniera non è terra facile. Non ne conosci la lingua, la cultura, le usanze. Non ne conosci i luoghi, le persone, i volti. E così era anche per questo forestiero…tuttavia, a lui non importava. Perché sapeva la ragione profonda del suo essere lì: cercare sé stesso.
Certo, gli interessava conoscere persone, tentare di intessere qualche relazione, chiedere aiuto per le urgenze quotidiane...ma non era la priorità.
Lui era giunto lì per incontrare sé stesso. (Ri)trovare quel suo volto perduto.
Non aveva bisogno di esperienze particolari, di fulmini dal Cielo, di segni eclatanti…aveva bisogno che qualcuno gli rivolgesse una semplice parola: il suo nome.
Desiderava sentirsi chiamato, abbracciato, visto.
Desiderava che qualcuno facesse alleanza con lui, che trovasse insieme a lui un senso, un significato, una direzione. Perché in fondo al suo cuore aveva la certezza che per lui era stato preparato un posto.
Desiderava, essenzialmente, sentirsi amato.
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Per questa Quaresima ho pescato dalla nostra libreria qualche libro da meditare che avessero come tema, appunto, il racconto, la narrazione, la testimonianza, l’uso delle parole, la comunicazione…e mi sono imbattuto in un libretto della Pastorale Giovanile di Reggio Emilia, “Il linguaggio narrativo simbolico”, che avevo usato nel mio percorso da educatore in parrocchia con i ragazzi post-cresima.
L’ho ripreso in mano perché mi ricordavo di vari appunti e note in fondo alle pagine, in particolare riguardo alla mia storia di fede e con la Mery, allora mia fidanzata.
Giovedì scorso, in Adorazione Eucaristica, ho letto un capitolo e mi sono trovato davanti alla stessa situazione: leggevo parole intessute del mio e nostro presente. Una roba incredibile! E ho pensato “Nooo qui c’è da fare assolutamente un articolo!!”. Così l’ho custodito nel cuore e nella preghiera.
Domenica mattina mi sono svegliato presto. Dai prego, rileggo le letture di oggi e poi inizio a scrivere l’articolo che volevo scrivere!
Prendo in mano le letture…
Mosè parlò al popolo e disse: “Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio…
Aspetta aspetta. Mi sembra di averla già letta...
Riprendo il volumetto della Pastorale Giovanile…
Mosè parlò al popolo e disse: “Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio…
No vabbè. Signore, stai scherzando? Sei il solito burlone!
Va bene, direi che avete capito. Il capitolo di quel libro che mi aveva colpito per la sua attualità…si ispirava a Dt 26. E, ovviamente, non me ne ero accorto, non avevo realizzato. Ma nessun problema, anzi meglio, perché ormai abbiamo capito anche questa cosa: noi siamo distratti, lo Spirito Santo no. Se noi Gli diamo spazio, Lui al momento giusto ti (ri)apre gli occhi!
Perciò, a maggior ragione, vorrei condividervi qualche pezzo e riportarvi i collegamenti che ci ho visto con i percorsi fatti finora, dove siamo stati, dove siamo oggi e, perché no…dove stiamo andando!
“Ogni Domenica nelle nostre liturgie eucaristiche professiamo la fede cristiana. È sufficiente che il sacerdote declami l’incipit “Credo in un solo Dio…” per attivare un coro di voci che si uniscono a lui nella recitazione, come se aprisse un rubinetto e l’acqua iniziasse a scorrere copiosamente. Il discorso cambia se ci domandiamo quale sia il livello reale di consapevolezza dei fedeli sui contenuti di questa formula. Essa risale ai primi secoli del cristianesimo, tuttavia risente delle aggiunte dovute alle dispute teologiche del IV secolo, che vedono una presa di distanza netta e risoluta dalla predicazione di Ario che negava la divinità di Gesù. Il risultato è che noi cristiani oggi ci ritroviamo a professare la nostra fede con un testo più preoccupato di prevenire gli errori che di raccontare la bellezza delle opere di Dio.“
Beh, innanzitutto, questa intro ci collega alla seconda lettura di questa Domenica, che è chiaramente connessa con Dt 26, perciò vediamola prima, seguendo l’ordine che hanno usato in questo capitolo:
Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
Rm 10, 10
È questione di cuore e, solo dopo, di (poche) parole, come abbiamo visto insieme nella terza tappa di “Àmati” e “Into the Womb” e come proprio oggi (sarà sempre un caso? 😅) arriva puntuale a ricordarci Gesù: “voi dunque, pregate così: Padre Nostro…”
Ma quello che mi è saltato più all’occhio è il collegamento con il percorso che stiamo facendo nel podcast e che riprende le tappe 5, 6 e 7 dei percorsi:
Riesco a vedere il prodigio che Dio ha scritto in me, a riconoscere che sono membra del Suo corpo e che solo io posso raccontare questa particolare bellezza?
Riesco a sentire l’amore e la stima che Lui ha nei miei confronti e grazie alla quale posso essere veramente un albero buono, capace di portare frutto anche dell’aridità?
La risposta, siamo sinceri, 2 volte su 3 è no. Non ci riesco, sono malato, ho lo sguardo impuro. E va bene così, perché se siamo qui, oggi, in questa Quaresima, è proprio per convertirci al sì, per guarire la memoria, leggere la nostra storia sotto la Luce giusta e riconoscerci bisognosi di salvezza! Preoccupati di “raccontare la bellezza delle opere di Dio” più che di “prevenire gli errori“. Perché Cristo non ti toglie la morte, te la trasfigura!
“Proviamo ora a scoprire il modo in cui il popolo d’Israele esprime la propria fede. La professione di fede ebraica la troviamo nel Deuteronomio al cap. 26. Anzitutto, si tratta del racconto di una storia. La fede di Israele è una fede storica: egli ha incontrato Dio nella storia, a partire dalla chiamata di Abramo e degli antichi patriarchi fino alla costituzione di Israele come popolo di Dio. Al centro di questa storia c’è l’evento fondamentale dell’Esodo: nell’affrancamento dalla schiavitù dell’Egitto e nel lungo cammino verso la terra promessa, Israele viene costituito come popolo e stringe con il suo Dio un’alleanza eterna.”
Non posso che fare di nuovo un salto indietro, alla seconda tappa dei percorsi, nelle quali abbiamo contemplato il disegno che Dio ha su di noi: ci ha pensati e creati come un santuario, nel quale ha deciso di dimorare e sul quale ha uno sguardo d’Amore come nessun altro ha!
“La ripetizione personale del racconto, patrimonio dell’identità di un popolo, diventa occasione di entrare con la propria esistenza dentro la dinamica della storia narrata: il credente ebreo si professa anzitutto figlio di coloro che hanno sperimentato un tempo la salvezza divina e questa dichiarazione gli consente l’accesso a quella dinamica di grazia che si rinnova nell’oggi. In questo modo egli dichiara qualcosa che non riguarda solo il passato, ma che ha dirette implicazioni sul presente che sta vivendo.”
Ed è così che siamo chiamati a fare anche noi: come il forestiero, alla ricerca di un’identità, di un nome che ci appartiene da sempre!
Riconoscersi parte di questo grande racconto iniziato ben prima di noi e poter rileggere il passato, altrui e nostro, con occhi nuovi, rivivendolo e riattualizzandolo!
Questo è il segreto dell’essere Corpo, del sentire il sapore della fede, del vivere la concretezza della Parola che “non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”, come ci ricorda, sempre oggi, il profeta Isaia.
Gesù, fatto carne e fatto Parola, se prende spazio nella nostra vita e nella nostra storia…possiamo raccontare eccome opere straordinarie! Ogni nostra storia diventa parabola per altri, racconto di salvezza per altri, perché è Lui che si è preso terreno nel nostro cuore e nel nostro corpo per operare!
Tutto questo, davvero, ci può aiutare a vivere ogni passaggio, a ripercorrere le tappe e vederle una legata all’altra, in una sinfonia unica, come il corpo e le sue membra:
“La dichiarazione verbale è inserita in un segno liturgico. Esso ha un’ampiezza rituale molto ricca: inizia con il pellegrinaggio al santuario (al luogo che Dio avrà scelto, che è appunto il nostro corpo) e si declina nella professione verbale della formula, nella consegna della cesta delle primizie, nella prostrazione davanti al Signore e culmina nella condivisione con i sacerdoti e i poveri (il levita e il forestiero). Il gesto liturgico risulta così molto ricco: esso richiede una sottrazione al mondo profano, da cui si esce intraprendendo il pellegrinaggio, l’ingresso in un ambito liturgico sacrale e culmina infine con il rientro nella profanità. Al centro del lungo discorso c’è la dimensione del rendimento di grazie, che è l’atto fondamentale del credente. Attraverso questa professione di fede l’ebreo credente si ritrova così confermato nella propria identità di figlio amato.“
Questo è il senso dei percorsi che stiamo facendo insieme e che ritrovo qui riassunti! Ci ho letto i 3 trimestri del nostro viaggio “Into the Womb”:
I°: inizio del pellegrinaggio al santuario
II°: prostrazione davanti al Signore
III°: condivisione
Per rinascere nello Spirito e aprirci alla Vita nuova del Vangelo abbiamo iniziato con lo spogliarci del profano, di ciò che non ci serve, che ci tiene legati alle cose del mondo. Con questa leggerezza e libertà siamo qui oggi, nudi, fragili, deboli, per prostrarci a Lui, stare in relazione con Lui, tenere lo sguardo soltanto su di Lui. Arriverà il tempo del frutto, del saper condividere con il prossimo ciò che questo grande Amore sta costruendo in noi…ma sono necessarie queste tappe prima.
Di tutto questo racconto, dobbiamo renderci conto di una cosa: siamo chiamati a identificarci nel forestiero. Nel destinatario del dono, dell’offerta, della condivisione. Destinatari prima che mittenti! E anche quando Dio (se vorrà) ci farà mittenti, non possiamo perdere questo sguardo! Perché siamo a saremo sempre e comunque destinatari del Suo Amore prima di tutto! Il nostro essere mittenti potrà essere solo canale, ponte, luce riflessa!
Questa Quaresima è il “momento favorevole”, come ci ha detto san Paolo nel Mercoledì delle ceneri! Per cosa? Per ripartire sempre dall’inizio, tornare sempre indietro da Gesù per ringraziarlo e tenerlo come sottofondo costante della nostra esistenza!
Ora siamo qui, più che mai: sentirci confermati nel nostro essere figli amati! Senza meritarlo per niente! Percorrere il sentiero di Gesù, sapere che Lui è là in fondo ad attenderci!
Il sentiero del forestiero.
A presto!
Lele