Le lacrime che irrigano

Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia. Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni.

Sal 126, 5-6

Nella liturgia di questa Domenica troviamo il tema delle lacrime, del seminare e della gioia.

Nella Bibbia troviamo scritto che è l’ora del completamento dell’opera del Signore, tra fatiche e difficoltà. Che nel seminare si ha faticato, ma che ci sarà acqua abbondante per portare a dare frutto.

È l’ora della fede. Perché ci vuole fede a seminare anche quando tutto rema contro. Ci vuole fede nel fatto che poi Dio manterrà la Sua promessa.

Però, come si esplica questa fede? Come si fa a misurarla, verificarla, temprarla? Ce l’abbiamo tutti, allo stesso modo? E perché c’è “chi ce la fa” e chi no? Perché c’è chi getta la spugna prima di arrivare a gioire del frutto del suo lavoro?

Ecco. Qui viene un presupposto fondamentale, e per nulla accomodante, della fede cristiana. Delle altre fedi non lo sappiamo, ma di quella cristiana sì: il passaggio dalle lacrime.

Allora, se, come ci racconta Gesù nella parabola del seminatore, Dio è il seminatore, il seme è la Parola di Dio e noi siamo il terreno…significa che Lui getta il seme in noi e poi ci vuole l’acqua. Bene, il Cristo, versando le sue lacrime e morendo in croce, ci ha comunicato che quell’acqua è quella delle nostre lacrime, del nostro pianto.

Mica perché ce le cerchiamo. Mica perché siamo masochisti. Mica perché vogliamo fare i controcorrenti. Ma perché l’ha fatto Lui. Lui, con le sue lacrime versate, il suo sangue versato…il suo corpo donato…ci ha indicato la Via. Lui è la Via, perciò il suo modo di amare e di portare frutto è lo stesso che dovrebbe essere per noi, se desideriamo davvero la Sua Vita, quella Vera, quella Nuova.

Ripetiamo, per le altre fedi, non lo sappiamo. Si possono avere altri credi. Ogni uomo crede in qualcuno, in qualcosa…perché l’uomo è stato creato per la dimensione trascendente…dipende tutto da che nome scegliamo di darci.

Se vogliamo stare dietro a Gesù, c’è da passare dalle lacrime. La sofferenza porta il frutto. Non la comodità, non l’agio, non il tutto che fila liscio.

La semina è dolorosa ed è in mezzo al pianto. Semini e piangi, piangi e semini. E aspetti. Se la tua semina non è tra le fatiche…chiediti che semina è. È il metro per discernere se ciò che stai seminando è la Parola di Dio, come fa Lui con te, per te, in te…oppure se è solo farina del tuo sacco. Parola tua. Che tiene fino a un certo punto. Che conserva quello che deve conservare, una riserva che permetta di vivere (o sopravvivere?).

Quando ti dai da fare per qualcosa, quando lavori, quando ti occupi di qualcuno, quando svolgi un certo ruolo, quando preghi o svolgi pratiche religiose (che non è la stessa cosa, e lo vedremo)…chiediti quanto “te ne vai piangendo portando la tua semente”.

Ci vuole un travaglio quotidiano. Come ci vuole un travaglio prima del parto. Il turbamento, la prova, il dolore…prima di una (ri)nascita…c’è. È un fatto, non un’opinione. Dipende, ripetiamo, che nome decidiamo di darci…o meglio ancora, se accettiamo che la vita è questa roba qua o ci copriamo gli occhi là dove non riusciamo più a tenerli aperti.

È nella prova che Dio tempra la tua fede, la tua insistenza nel chiedere la Vita. E, infatti, nel Vangelo incontriamo un altro personaggio interessante delle Scritture:

E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

Mc 10, 46-48

Questo cieco non vede e vuole la vista. Punto. Sa perfettamente di cosa ha bisogno. “Non si accontenta degli spiccioli che la vita gli può offrire mendicando. Lui vuole la Vita.” Ci commenta Don Fabio Rosini.

Sa cosa chiedere al Signore, perché, innanzitutto, riconosce che solo Lui è il Signore della Vita. Lui grida, gli altri cercano di zittirlo perché “non fa bello“, “non è educato“, “dai nell’occhio“…ma lui grida ancora più forte.

Eh ragazzi. È così. Torniamo lì. Se non soffri, se non hai un’esigenza che ti lacera (e magari pure da anni e anni), se non stai piangendo, se sei nell’agio…se non senti il bisogno profondo della Vita vera, di vederci per davvero, di gustare pienamente…non la chiedi neppure.

Ma l’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono. Questa è la sorte di chi confida in sé stesso, l’avvenire di chi si compiace delle sue parole.

Sal 49, 13-14

Svelato l’arcano. Non masochisti, non gente che si cerca il male…ma gente che sa riconoscere il proprio dolore, che sa attraversare il proprio buio, rendersi conto della propria misera condizione…e sarà quel contatto lì, con sé stessi, che porterà ad accrescere questa esigenza di Vita vera.

Il punto, allora, non è soffrire e basta. Piangere e basta. È prima di tutto dare ascolto a quel grido che sale da dentro. Fare silenzio, rendersi conto di chi si è, del fatto che da soli possiamo cantarcela e suonarcela tranquillamente, che possiamo stare nella prosperità quanto vogliamo che nessuno ci dirà nulla…ma a un certo punto arriva il momento del raccolto, del frutto…e sarà lì che si faranno i conti.

Questo cieco non grida perché soffre e basta. Il grido è il risultato ultimo della sua sofferenza, della sua mancanza di vista…di Vita. Il grido fa una strada dentro al corpo. Sale dalla pancia, dalle stanze più buie di questo uomo…e arriva fino alle corde vocali. Ma chissà quante volte l’ha strozzato prima.

Lui arriva lì perché si è reso conto di questo percorso. È partito dal profondo. Tante volte avrà provato a raccontarsela che andava bene così…che si sarebbe potuto anche accontentare dell’elemosina, se quella fosse stata l’unica cosa che la vita avesse avuto da offrirgli. E sarà passato tanto tempo.

Cosa ha fatto la differenza, alla fine? Che l’ha portato ad avere di nuovo la vista e vivere per davvero? La fede. La fede nel riconoscere il Signore Gesù che passava di lì e, finalmente, dare sfogo al grido.

E lì come ci è arrivato? Ha sfruttato tutto quel tempo in mezzo. Ha sentito quel grido che giaceva nel profondo, gli ha dato ascolto e ha invocato Dio, nel suo cuore. Chissà quante volte…senza ricevere ancora la Sua Risposta. Ma non si è dato per vinto. Si è lasciato ferire, lacerare, scavare da quella sofferenza interiore…si è sempre reso conto di averla. Ha provato a zittirla, magari, a compensarla con qualche spicciolo, un pezzo di pane che gli veniva donato…ma mai negata.

Questo è il percorso. Ascoltarsi, fare silenzio, pregare davvero, non a parole (e ripetiamo che ci arriveremo a breve!). Riconoscere che ti manca tutto. Piangere per questo. E iniziare a seminare proprio lì. Partecipare alla croce di Cristo. Starci anche quando tutto ti direbbe di scappare sempre fuori…fuori…fuori. Fai, briga, lavora, compra, corri, muovitil’importante è non fermarsi nel silenzio…perché fa troppa paura. Verrebbe fuori tutto ciò che in realtà cerchi davvero…ed è un casino ammetterlo. Meglio continuare a stare sul treno del mondo che va a mille.

Bartimèo, allora. Perché quando uno incontra il Cristo prende davvero il suo nome. Bartimèo ha avuto la fede di dare spazio al seme dentro di sé in tutto quel tempo…di preparare il terreno per la Parola di Dio dentro di sé…e di seminarla a sua volta, con il prossimo, con chi aveva a fianco tutti i giorni…e al tempo giusto, che compete con la semina, ha raccolto: è passato Gesù, l’ha riconosciuto e ha insistito per avere la Vita. E ha vinto. In tutti quegli anni, però, secondo il mondo, l’apparenza, ciò che si vedeva da fuori…stava perdendo miseramente.

Lui vuole la Vita, insiste per averla, ma sapeva che per avere quella Vita sarebbe servito prima il seme. Quella Parola che avrebbe pian piano portato frutto dentro di sé.

Questo cosa ci dice? Che la vera semina è e resta quella di Dio in noi. Nel nostro corpo. In tutto quello che siamo. Nella nostra condizione da perdenti. E l’acqua che irriga, che dà da bere al seme-Parola, è per forza quella delle nostre lacrime…perché fin quando non vediamo la Vita Nuova sorgere dalla Parola seminata in noi, stiamo male. Soffriamo.

È quando vediamo l’ora X arrivare che scattiamo in piedi, togliamo tutto quello che nel mezzo ha provato a compensare la mancanza…e ci attacchiamo alla Vita!

Bartimèo si toglie il mantello (vecchia vita) per seguire Cristo, Via, Verità e Vita (nuova vita).

Mi hai tolto l’abito di sacco, mi hai rivestito di gioia.

Sal 30, 12

Ciò che ti porta alla Vita deve per forza passare attraverso il tuo corpo, attraverso ciò che ti riguarda e che ti ha riguardato in prima persona. È qualcosa che hai addosso e che devi mollare. E fa male. Fa piangere. Sta lì la sofferenza. Il taglio provoca lacrime. Che però intanto irrigano, e il seme cresce. Se smetti questa operazione, il seme non potrà continuare la sua crescita…e non porterà frutto.

È l’accoglienza di una novità che ancora non vedi. Sai cosa molli, ma non cosa trovi. E la testimonianza è vera solo così. Quando in prima persona passi attraverso una ferita che è stata guarita. Gli altri vedono ciò che succede quando Gesù opera guarigioni. L’occhio vede e il cuore crede…quando ti passa davanti qualcuno che ha incarnato una sofferenza e “conquistato” una salvezza. Non se tutto resta una bella ramanzina sulla Buona Novella. Se tu ci passi, mi fai vedere che hai pianto, che hai seminato, che ti spezzi e muori come Gesù…e poi risorgi…allora sì che potresti scompensarmi.

La Parola viene per forza per contestarti, trasformarti, provocarti…mica può lasciarti come già sei. Che conversione è? (Sempre parole del buon Don Fabio)

Andare dove ancora non sai sapendo perfettamente, invece, cosa lasci, non è rassicurante. Non è accomodante. Ma è troppo forte quel richiamo che viene da dentro di te. Se sei in ascolto di te stesso, a un certo punto, non ce la fai più. E se hai fede per riconoscere il Cristo che passa nella tua vita, si trasforma in grido…che nessuno potrà contenere, nemmeno il buon senso o le norme civili.

Ma per gli afflitti, la cenere è trasformata in corona.

Is 61, 3

Quello di Bartimèo assomiglia al grido della cananea, in Mt 15, 21-22. Anche lei insiste, dopo che Gesù non le rivolge neppure una parola (23). Ammazza oh. Un po’ crudo il Signore. Ma in effetti è proprio così che succede quando ci sentiamo soli, abbandonati. Quando c’è buio e gridiamo…senza ricevere risposte.

La chiave che lega questi due personaggi, insieme, anche, al lebbroso che, dei 10 guariti, torna a ringraziare Gesù (con il quale abbiamo iniziato il percorso) è quella: la fede.

Gesù arriva a riconoscere a tutti loro che “grande è la tua fede”…ed che “la tua fede ti ha salvato”. Non altro. E attenzione, non Io ti ho salvato e sono un bomber. La tua fede. Neppure Lui, che è Dio, si prende il merito di una salvezza donata.

Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.

Fil 2, 5-8

Ha condiviso con noi la sofferenza. Non se l’è tirata. E per quello capisce e ha compassione di chi soffre. Perché sa cosa vuol dire. Ci è passato. Non è teoria, ce l’ha mostrato. Ci ha insegnato cos’è la testimonianza. E risorgendo ci viene a dire che anche per noi funziona così. La nostra fede ci salva. Lui è Colui che ci prende in braccio e ce la insegna, ce la chiede, esige la nostra parte. Non fa tutto Lui.

Con Gesù c’è da osare, da insistere, da cercare. Lui non si fa trovare e non rivolge parole e sguardi, in tante occasioni. Perché? È st****o? No. Ti mette alla prova. Ti vuole far arrivare all’origine di quel grido. Ti vuole far togliere tutte le sovrastrutture che ci sono sopra, tutta la prosperità dentro la quale stai vivacchiando…ti vuole far scavare fin dove davvero inizi a riconoscere che…anche se hai tutto e credevi di avere tutto…sei triste fino alla morte. Perché non hai la Vita vera.

Arrivato al fondo, sì che le lacrime iniziano a venire fuori. Tocca il fondo e poi mi dici se il tuo cuore è sano, se non stai piangendo silenziosamente da anni. Se davvero non soffri.

La tristezza è la mancanza della Vita. La sofferenza ne è la conseguenza. Le lacrime sono la parte che si vede.

Tutto che concorre alla Salvezza. Alla resurrezione.

Ed è qui il bello del corpo di Cristo. Che TUTTI…possiamo riconoscerci su questa barca. Che tutti i cuori sono lacerati. Tutti abbiamo dentro una sofferenza, di qualsiasi genere. Tutti abbiamo un corpo nel quale la storia si sta scrivendo. Tutti viviamo l’incarnazione. Ma Gesù aspetta che la vediamo. Ma…potrebbe passare anche tutta la vita senza che noi la vediamo.

E con questo possiamo rispondere alle prime domande. C’è “chi ce la fa” non perché ha la fede e l’altro no…ma perché ha colto l’invito a mettersi in ascolto. Ha accettato di riconoscersi nel pianto. E ci è andato dentro fino al collo. La fede, allora, scopriremo che è un dono lì, pronto per tutti…ma ci arrivi con le tue gambe.

Gesù annuncia a questi suoi figli che la loro fede è grande e che li ha salvati solo dopo che hanno fatto tutto il percorso. La fede è la chiave che porta alla corona. C’è il guardarsi dentro, il vedere il vuoto, il desiderare la Vita…c’è il chiederla, ma ancora con voce troppo bassa…ci sono ancora troppe compensazioni…e allora togli…e cerchi…ma ancora non ti rivolge parola…

Allora, vuoi gridare o no????

Rabbunì, CHE IO VEDA DI NUOVO!

Eccomi. Sono qui. Finalmente. Ti aspettavo.

Troppo facile avere da Gesù ciò che chiedi al primo timido tentativo. La Parola di Dio non è robetta. Non è subito disponibile. Ci devi stare. Gli devi fare spazio. Tu sei il terreno. Il tuo corpo va cosparso di seme. Sei tu che scegli a che seme dare spazio. Non importa se a volte sei strada, a volte sassi, a volte rovi e a volte terreno fertile. Tu cammina. Togli pian piano ciò che non è fertile. Sii solo terreno buono. Perché Gesù sparge tanto seme…ma solo uno o due vanno in porto. Come gli spermatozoi con l’ovulo.

A Lui niente è impossibile. Ti rende fecondo anche quando tu ti credi tutta strada. Ma chiede solo una cosa.

Tutto lo spazio. Tutto il terreno. Tutto te stesso.

Ti chiede di morire a te stesso. Di andare al fondo del tuo barile, prendere in mano il grido che là giace, farlo risalire con te. E consegnarlo nelle Sue mani.

Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo

Gv 6, 26-27

Vedi tu. Fai tu i tuoi conti.

Bene amici!!! Questo articolo va a seguito del video pubblicato ieri https://youtu.be/RRWkWNZWjDM (nella cui descrizione trovate due link di Don Fabio Rosini dai quali abbiamo preso spunto) e verrà completato dalla diretta che faremo MERCOLEDÌ 27 sul nostro canale YouTube, alle 21.00 circa, nella quale vi racconteremo i nostri passi di fede: dove il Signore ci ha chiesto tutto, ci ha temprato la fede e ha reso possibile l’impossibile nella nostra vita!

Tutto questo sta già introducendo la terza tappa del percorso che sarà DOMENICA 31 anziché il 7! Ma ve lo ricorderemo in questi giorni!

Un abbraccio!

Lele&Mery&co

2 commenti su “Le lacrime che irrigano”

  1. Grazie di cuore!! Come sempre, nella parola di dio ci sono già tutte le risposte, basta fare la domanda giusta…se ti metti davvero in ascolto, lui ti parla, lui ti dona ciò di cui hai davvero bisogno, in quel momento.
    “Come la cerva anela ai corsi d’acqua,
    Così l’anima mia anela a te, o Dio.
    L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente:
    quando verrò e vedrò il volto di Dio?
    Le lacrime sono mio pane giorno e notte,
    Di giorno il Signore mi dona la sua grazia
    di notte per lui innalzo il mio canto:
    la mia preghiera al Dio vivente.
    Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
    lui, salvezza del mio volto e mio Dio.”
    (Salmo 42, dalle lodi mattutine di oggi)

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